sabato 12 dicembre 2009

2.38



Nella liquida nera notte ancora una volta quella voce
Sono le due e trentotto .
Buongiorno,
io ci sono

sabato 28 novembre 2009

Sai

Sai perchè ti amo?
Perchè mi piace tanto come cammini.
E come muovi le mani,
gli occhi lucidi quando mi guardi.
Il tuo sorriso e le bocca che socchiudi.
Mi piace il tuo carattere ombroso,
quel tuo essere scontroso,
quel modo speciale che hai di farti odiare.
Sai perchè ti amo?
Perchè mi piace tanto quando corri.
I tuoi muscoli in movimento.
Il vento che ti lasci dietro.
I pensieri che ti porti dentro.
Mi piace quell'aria indifferente,
quell'atteggiamento scostante.
Ti amo perchè quando ridi mi spalanchi le porte del buonumore.
Sei come pioggia fitta che non smetti di guardare.
Sai perchè ti amo?
Perchè sei un pericolo costante.
Come quando ti tuffi da altezze improbabili in uno specchio d'acqua poco profonda e torni da me dicendo semplicemente dovevo farlo ed il cuore mi si gela.
Perchè poi mi abbracci e sento che dovevi, è vero: dovevi farlo.
Perchè quando mi abbracci ti sento il cuore penetrarmi l'anima.
Sai perchè ti amo?
Perchè riesci a piangere ancora come fossi un bambino,
perchè dietro gli occhiali brucia la passione,
perchè ti lasci morire giorno dopo giorno traversato dal dolore.
Perchè rinasci ogni volta solo per me.
Ti amo perchè non me lo dici mai
ma non c'è un solo istante che io possa dubitarne.

sabato 7 novembre 2009

come

come faccio a desiderare tanto soltanto una
e una cosa e poi,
dopo,
solo e soltanto il suo contrario?

martedì 27 ottobre 2009

Prima

Ti pare normale?
Lo sguardo di lui è sospeso tra l'interrogativo ed il meravigliato.
Arriccia il naso e allarga gli occhi.
Cosa, scusi?
Scusi...? Lei sorride. Ironica.
Che fai, mi dai del lei? Si aggiusta i capelli con la destra che poi rimette in tasca.
Lui spalanca un sorriso imbarazzato.
Cosa mi dovrebbe apparire non normale, comunq
ue?
Vabbè, niente, come non detto. E se ne va lasciandolo di sale.
Una leggera sensazione di caldo fuori stagione.

Lui non sentiva il peso delle nuvole di parole non dette.
Amava cercare piuttosto che trovare.


Per tanti motivi non la vide che ventidue giorni dopo.
Non gli fu difficile contare i giorni.

Le guardò i capelli raccolti.
Le spalle.
Le mani in tasca.
Immaginò le parole, i movimenti dei piedi, la curva dei pensieri.
Intanto lance di sole caldo sbattevano sulla sua fronte e si depositavano sul tappeto delle rosse foglie secche.
Lei non si mosse.
Lui neppure.



E così continuò a guardarla da una certa distanza.
Cosa gli piaceva tanto?
Non il nome che non conosceva.
Non il viso che vedeva sempre di profilo o di tre quarti.
Non i capelli perennemente legati.
Non le mani, non i denti, non gli occhi.
Ad un tratto gli parve che si spostasse come se lo sguardo ripetuto la passasse da parte a parte. Fece un mezzo giro verso di lui.
Ma poi s'incamminò precedendolo.
Lasciando piccole impronte sull'asfalto come cerchi nell'acqua.

mercoledì 21 ottobre 2009

fai male, lo sai?

magari tu mi pensi ancora
magari tu mi cerchi ancora
magari tu mi canti ancora
magari mi dici buongiorno ancora
abbassando la voce
quando mi presento all'improvviso dietro i capelli
che lasci che coprano ancora
Lo sai che non ti sogno mai?
E che tutte le volte che stringo gli occhi voli via
quando ti penso forte
Magari mi pensassi ancora
magari mi cercassi ancora
magari mi cantassi ancora
Lo sai che non ti sogno mai

anche se vorrei
anche se

anche

se mi dicessi buongiorno
se mi dicessi ci sono
ma vado
se mi credessi al tuo fianco
Lo sai che non ti guardo mai...
e che se mi fai male è sempre uguale
quando ti penso forte

Magari, magari

magari pensi al mare
magari sfogli il cielo
magari hai contato tutti i minuti sottovoce

e così appari
tra il ruvido d'una pagina
nella tasca del loden
nel caffè che circonda
magari magari
adesso ti chiedi chi sono
adesso che penso
adesso che muovo
adesso che canto
adesso che vado
magari ti chiedi
e mi scacci lontano
come un alibi leggero
come una menzogna fanciulla
come faccio io
con te

quando appari
appari
appari
fai male, lo sai?




mercoledì 14 ottobre 2009

Εκατό φορές κομμάτια έγινα για σένα μια βραδιά

Poi venne il mal di testa.

Come bordate sulla porta di una casa che dorme.
Nel silenzio della notte.
Alle tre.
O alle quattro.
Quando concede.
Apre la finestra sul dolore e scalcia il sonno che s'abbandona sugli occhi.
Stanchi prima di cominciare.
Εκατό φορές τα μάτια, είπαν φεύγω μα δεν έφυγα ούτε μια
Male
da non poter leggere
male
da non poter scrivere
male
che la musica fa più male

martedì 6 ottobre 2009

attimi


E' in attimi come questi.
Quando la pioggia bussa violenta sulle finestre
e la danza martella le tempie
Chiudo gli occhi e mi abbraccio la testa tra le mani
E' in attimi come questi
che sento la lancetta dell'orologio
scandire ogni singolo secondo
costruire minuti tristi di ore tremende
E' in attimi come questi che penso a quanti giorni ancora mi dovrò sopravvivere
A quanti anni ancora
Senza te
la luce delle tue labbra
le vie dei tuoi nei
l'ombra delle tue mani
E' in attimi come questi
che il cuore mi si sgretola dentro
come argilla secca.

domenica 20 settembre 2009

7

Quella delle nere lucenti cozze strappate a grappoli fu l'ultima domenica d'estate.
Poi vennero le piogge.
E le domande.

sabato 19 settembre 2009

fa bene ricordare

Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

(P. Neruda)

lunedì 14 settembre 2009

Oggi



Oggi è il grande giorno.
Grande.
Per chi non so.
Per me no.
E' un addio, tutto finisce e quello che c'è stato qui, tra noi, vola via con te.
Passeranno i giorni, arriverà l'inverno. Neve fresca andrà a coprire una ferita antica: tutto muore.
Il sale della nuova estate porterà ancora dolore.
In testa
e nel cuore.
Come sempre.

venerdì 28 agosto 2009


Ehi, tu che metti in moto la mini crema e parti lento guardandoti indietro un paio di volte...
Ehi, ti ricordi quella telefonata?
A casa, allora non c'erano cellulari. Era l'ora di cena e da pochi minuti avevamo smesso di raccontarci il nostro viaggio a Rio.
"Aò?"
"...ò"
Il nostro modo.
"Dice Ermanno che alla ********* cercano un portiere di notte..."
"Uhm...quanti turni?"

Cominciò così la nostra avventura parallela nel mondo del lavoro.
Feci un facile colloquio e cominciai a sentirmi, come te, il padrone del buio.
Furono tempi per nulla semplici: la mattina il corso per programmatore, il pomeriggio l'agente immobiliare e la notte davo le chiavi.Crescevo, insieme a te.
Quante risate al telefono tra una stampa e l'altra?
Quanti racconti di amori sfumati, donne deludenti e progetti fantasiosi?
Siamo cresciuti, sono passati quindici anni.

E adesso cosa ci fa quel completo grigio impiccato nella gruccia che ti porti via?
Che ti porta via.
Quando tornerai sarà per l'ultima volta.
Un nuovo progetto, tintinnii non consueti, voci differenti, settecento km di separazione.
E' la banale legge crudele della vita: tutto termina...

Mi pare ieri.
Ho talmente tante figure che mi s'incartocciano nella mente che faccio fatica ad elencare.
Siamo diventati uomini insieme percorrendo la stessa strada. Inciampando sovente, mani forti a sorreggerci l'un l'altro.

Buona fortuna amico mio.



Te lo scrivo perchè poi rimanga solo a te, e non te lo dirò a parole:
sono fiero ed orgoglioso che vai a dirigere a Cortina;
sono fiero di aver condiviso tutti questi anni di lavoro che ci hanno visto crescere a livello umano e non solo, abbiamo imparato assieme a fare un sacco di cose, abbiamo insieme distrutto l'impero di un despota idiota.
Sono orgoglioso davvero perchè so che una parte di me sarà con te a Cortina, una parte che esula dalle conoscenze lavorative e dalle capacità di manager, sarà una parte che ha a che fare con la libertà, con l'orgoglio e con la dignità.
Una parte di noi per la quale abbiamo lavorato e lavoreremo tutti i giorni della nostra vita.

domenica 23 agosto 2009

Devo


...devo fare qualcosa perchè smetta di pensarti
qualcosa che possa distrarmi
che riesca a fermarmi
perchè di notte dorma
perchè con la luce s'attenui il sogno
e si fermi la febbre.
Devo fare qualcosa per lavare il profumo
cancellare le tracce
ottenere la pace
ed il perdono.
Devo fare qualcosa per abbassare il volume della canzone che mi gira in testa
se non ci sei e ti cerco
come sempre
da sempre
quando non ci sei
e quando compari
Devo fare qualcosa perchè il cuore smetta di bussare
e la mente di reclamare
le tue mani
e la tua bocca
che sa di me
quando mi baci
mi sfiori e poi
scompari.

Devo fare qualcosa perchè tu smetta
di cercarmi
perchè tu sappia che non puoi avermi
perchè tu sappia che non puoi.

Perchè tu non sappia più
quanto io
continui a volerti.


mercoledì 19 agosto 2009

Lei, lei


Lei, Lei...
a volte non sa quello che dice.
Chiede quello che vorrebbe sentirsi dire.
S'incazza per quello che non sente.
Perchè cerca con gli occhi.
Rovista con gli sguardi.
Attende suoni.
Lei, Lei...
non sa fermare il tempo.

Il respiro è dentro di se.

martedì 11 agosto 2009

Nettuno

Ero lì proprio dove lei s'aspettava ch'io fossi.

Era stata una lunga e strana giornata di inizio
estate.
Guardato le ore scivolare lente come gocce di condensa, un rumore leggero e fastidioso a tener fresca la camicia.
Il cielo dei pensieri increspato di nubi, sereno per pochi momenti e poi buio come fosse notte.
Raccogliere forze necessarie era necessario.

Non ero pronto per dirle addio. Ma non lo sarei mai stato.
Scelse per me un luogo neutro, dove potessi guardare ciottoli e persone, strade e lampioni, mare e cielo senza dover per forza pensare che prima lo avessimo mai fatto insieme.
Pensarci non diminuiva il dolore.

Arrivai presto e presi a camminare senza meta.
Rovistai nel cestino delle possibilità ma quello
che ne ricavai fu solo carta straccia.
S'era deciso e l'abbraccio sarebbe stato l'ultimo.

Quando la vidi mi accorsi della vanità del tramonto sopra i suoi capelli.
Sembrava provenisse dal mare partorita dalla spuma, sembrava dipingere il cielo con movimenti liquidi delle mani.
Sembrava.
Era.
Affrettò gli ultimi passi e risolse l'imbarazzo in un singhiozzo che m'investi le guance e gli occhi. Ancorò la disperazione sul mio cuore spaccandolo.

Corresse il fiume del rimmel, mi porse un fazzoletto.
Il giorno calava veloce il sipario.

Ogni secondo perpetuava la litania dell'addio.
Poi mi abbracciò e spinse sulla bianca sabbia ancora ti
epida.
Le sue mani a cuscino, i baci a cullare l'altalena. Il vent
o a suonare musica.

Si mise in ginocchio, drizzò la schiena.

Guardami amore...
Vidi rapidi bottoncini perlati sparire dietro dita gentili.
Linee di cotone comparire e adagiarsi sul giubbino di jeans.
Capelli muoversi e occhi indicare.

Il mare ci accolse per l'ultima volta insieme.
Io sparii dentro di lei.
Mi disse ti amo un milione di volte ed io sospinto in lei dalla brezza di sale capii:
nessun'altra m'avrebbe mai potuto strappare il cuore in quella maniera.
Nessun altro mare.
Nettuno.
Era notte ormai.

domenica 9 agosto 2009

Spandau Ballet

Già in classe respiravo aria difficile, come l'amaro in bocca che ti riempie di schifo dopo il vomito.
Ma per fortuna alla quarta ora c'era educazione fisica.
E la partita a pallone, il massacro, tanto a poco per noi, ha spazzato via ogni dubbio: non ci vado.
Daniele mi fa l'occhietto mentre entra in macchina.
"Salve signora", saluto la mamma.
"Allora ci vediamo stasera..."
Faccio finita di niente, tanto cambio idea ogni tre quattro secondi.
Non sono fatto così, di solito. Ma stavolta mi fa male il cuore.
Lei, sono sicuro, ci spero tanto, mi guardava stamattina con gli occhi dolcissimi. Nascosta dietro al libro di latino.

Maglioncino celeste, jeans chiari, chiarissimi, è davanti a me di qualche passo. Sottobraccio a Stefano.
L'orda dei ragazzi in uscita si dilegua: automobili, motorini, bar, stazione, ognuno per la sua strada.
Noi dobbiamo girare adesso verso il cavalcavia ma Stefano tira dritto. E' assorto. Daje
che chiacchera.
Io giro, faccio finta di nulla allontanandomi una ventina di metri.
Finalmente se ne accorge.
"Aò, me puoi pure aspettà...", mi grida venendomi incontro e trascinando pure lei...
Mi fermo, non mi sposto di un millimetro.
"Ciao eh!!!", mi fa lei scoprendo i denti e imprudenza.
"Ciao Superiore, ciao. Ci vediamo lunedì. Io entro alla seconda." La guardo un attimo e poi mi rivolgo a Stefano. Scocciato, un atteggiamento ad arte. Un istante ancora ed il cuore si sarebbe sbriciolato tanto batte forte. D'istinto mi metto la mano lì dove il dolore è fitto fitto.
"Lascialo stare, è fatto così."
Si danno due bacetti per guancia ed ognuno a casa.

Alla fine ci vado.
Sono le otto quando finisco di phonarmi i capelli. Il Bomber è ancora sotto la doccia. Lo specchio completamente appannato, le scarpette buttate a terra, la borsa disfatta.
"Sicuro che non vuoi venire?", grido più forte per farmi sentire. Profumo di balsamo alla mela.
"No, no, non conosco nessuno..."
"A Warte, ma come non conosci nessuno, c'è tutta la squadra del torneo di calcetto di scuola...vabbè vabbè, ho capito!

Il problema è il cuore.
Impazzisce, batte forte forte forte, una danza maori nella cassa toracica.
Ed io smetto di parlare.
Mi chiudo, faccio il sostenuto.
Lei comunque, lo sa.
Però, non mi spiega.
Mi lascia sospeso in balia del vento e degli umori: i suoi.


Citofono.
Niente.
Citofono lasciando il dito premuto.
Niente.
Poi si apre il portone. Marito e moglie in capp
otto lungo e scuro. Fermo un'anta col piede.

Pensavo ci fosse più caos.
Susanna è la prima a venirmi incontro trascinandosi Stefano. "Ciao a biondo..."
Bacetto sulla guancia.
Stefano gongola.
Non dice nulla ma ride. Sapeva che sarei venuto.
Poi in rapida successione saluto Barbara, la padrona di casa, Daniele, Nando e tutti gli altri.
La cerco con gli occhi cautamente.
Appoggiandomi ad un bicchiere di coca ed una manciata di popcorn.
Un braccio sulla spalla. "Sta lì, sul divano."
E' la mia coscienza che parla? Sento le voci?
E' il bomber: "te pensavi che te lasciavo solo?!"

Potevamo prendere l'autobus insieme...

In successione mi godo- si fa per dire- Notorius e poi Vertigo. Non è il mio genere. Poi Strangelove dei DepecheMode. Sempre col braccio del Bomber che mi cinge le spalle.
Luci, pizzette rosse, musica, parole gridate, danze scatenate. Io sempre impalato.
Penso che potevo tranquillamente starmene a casa, che sono stanco, che non mi piace giocare al suo gioco, che soffro e che sono felice di farlo...
Lenta ed inesorabile Through the barricades invade il grande salone. Non so cosa voglia dire, ma la canzone m'affascina.
Via,via, scappa, mi dice una vicina vocina ululante tra ventricolo e ventricolo. Via, via, vattene prima che possa essere troppo tardi.
Lei si alza. Dal fondo scuro del destino.
Non la vedo distintamente.
E' una pazza.
La camicetta bianca svolazzante.
I capelli lunghi sulle spalle, gli occhi truccati, il sorriso convinto.
Traversa la stanza.
Non verrà mica da me?!

"Permetti, no? te lo rubo per qualche minuto..." , rivolta a Walter.
Paura.
Pensieri.
Dolore.
Che scompare insieme a tutto il resto quando lei mi prende la mano.
Balliamo lenti, io circospetto e vergognoso, rigido e tremante.
Lei mi stringe le mani al collo, calde e morbide.
Le cingo i fianchi impacciato.
Mi conduce in questo mare senza pensieri, in questo liquido di vita appena assaggiata che si perderà per sempre tra pochi secondi...

Father made my history
He fought for what he thought
Would set us somehow free
He tought me what to say in school
I learned off by heart
But now that’s torn in two

"Superiore, sei bella..."
Non sono io che parlo, sono sicuro che non sono io.
Alza gli occhi, laghetti alpini celesti nei quali affogo, abbassa lo sguardo, non dice nulla e mi stringe forte.
"Mauro?"
Me lo indica con lo sguardo, lì verso il divano.
La musica finisce, il gioco pure.
Saluto tutti.

Torniamo a piedi con le borse a tracolla, i piedi che reclamano il letto.
Il Bomber, faccia rotonda e capelli lunghi corvino che coprono gli occhi, si sfoga.
"Mò che te ce fidanzi, ce pensi ancora agli amici?", e ride forte, con la sua risata a volte sguaiata ma genuina.
Ciondola il capoccione come per dire che lo sa che non sono uno stronzo.
"La Superiore sta bene così."
Laconico.
Io non me lo spiego. Lui era seduto a cinque metri da noi che rideva e beveva sprite coi suoi amici. E lei che fa?! Viene ad invitare me a ballare. E balliamo al centro della sala e tutti a guardarci.
E' un pensiero che tengo per me ma evidentemente Walter lo capta e ci cavalca sopra.
"Certo che un pò strana è...l'amica tua."

M'addormento sulla sigla finale di Fantastico 7, chi è quella gran fica, la Martines?

domenica 19 luglio 2009

un giorno speciale




"Stanco di aspettare chi non sarebbe mai arrivato,
fui sfiorato da un piccolo bacio.
Inaspettato e dolce, non mi baciò le labbra:
colpì il mio cuore.
Leggero e salato, non incontrò il mio corpo:
mi prese l'anima.
In un solo secondo e per un solo secondo fu mia.
Ma quel sorriso,
quel conoscere solo a me riservato, mi apparterranno ancora:
solo e sempre a me."

(anno 2007)

sabato 4 luglio 2009

lei, lui

...sono pochi per promettersi il futuro



sms di prima mattina


Sono le 6.40

Guardo il citizen sul comodino:
il display si fa verde e penso al traffico che è lento nell'ora di punta...


La casa respira l'aria fresca del mattino appena nato.
Alzo la serranda cercando di non fare rumore, la porta accostata della cucina regala uno scaleno di luce.
Senza che me ne accorga mi posa una mano sulla spalla.
"Buongiorno amore mio..."
Fiori e piante rigogliose nel rettangolo lungo dietro il vetro.


Non ho nessuna curiosità, faccio soltanto male a non spegnerlo.
"Buongiorno mamma. Parole crociate?"

Dobbiamo parlare.

Penso che palle mentre deglutisco. La spremuta fresca delle ultime arance buone.
Non rispondo.

Ci si imbatte sovente nel proprio destino proprio sulla strada intrapresa per evitarlo.
Non è un cartone.

"Che fai, non rispondi?"
Mi desto dal torpore girandomi sul lettino.

Annuso la sua pelle abbronzata dalla pizbuin senza schermo.

Cominciamo una passeggiata ad ostacoli sul bagnasciuga infestato da lumache di mare, bagnanti del sabato pomeriggio, bimbi meraviglie d'innocenza,algacce informi.
In testa c'ho una canzone triste...
Presagio.

"Ho rifatto il test, è positivo..."
Invece di sospendermi, la frase a metà mi stecchisce.
Penso prima di parlare mentre tutto scompare.
Come quella volta.


...in una meravigliosa giornata di primavera ho appena finito di discutere.
Odio farlo al telefono, vorrei toccarla, abbracciarla, baciarla.
Lei butta giù prima che possa replicare.
Un giorno metterò la testa a posto, adesso non so.
Maggio odoroso e tiepido dice che correre mi farà bene.
Di studiare nemmeno l'idea.
"Torno per pranzo, ciao Mà..."

"Corri piano..." e sorride con gli occhi smeraldini.
Infilo le cuffie e ci chiudo il mondo fuori.
Le scarpe mi guidano sul lungomare assolato.
Corro tra sabbia e cemento, piccole palme fuori luogo cercano di sopravvivere.
Il respiro del mare mi accompagna incerto: se giro qui, in trenta secondi sono da lei.
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi...
Nemmeno il nanosecondo di riflessione e scampanello al citofono.
Lei si affaccia alla grata scrostata di ruggine arancio.

Lo sguardo imbronciato, gli occhi chiari che strizza per ripararsi dal sole.
"Che vuoi?"
"Te, come sempre..."
"Io no..." dice incazzosa montante.
Che palle, penso io, ci vuole così tanto a volermi bene?
La maglietta sudata mi si incolla al petto, una chiazza scura sorge sullo sterno.
Tento di abbracciarla, il profumo dei suoi capelli mi respinge
.
"Sei tutto sudato, vattene..."
Cazzo, l'orgoglio delle donne. Sfila via lasciandomi a guardare la tenda che torna al suo posto.
Non mi rimane che correre. Arrivo al porto sprintando, ormai fa troppo caldo e dovrei bere. Giro attorno al molo ed imbocco la via del ritorno.
M'impongo di non pensare e lasciare tempo al tempo. E' solo orgoglio.
Intanto Mark Knopler batte un lento disperato che sarebbe meglio evitare.
Non sono stanco.

Non sono stanco di lei.
Vorrei solo vivere i miei fantastici venti anni. Senza catene.

La incontro all'altezza del mercato proprio mentre decelero. Due isolati e sono a casa. La maglietta adesso ha un nuovo colore.
"Ciao bello..."
"Ciao, non t'avevo vista", fingo.

Il sudore gronda sulle tempie. Alzo la maglietta scoprendomi la pancia abbronzata per detergermi la fronte.
"Sempre di corsa? "
Sorrido.
Lei mi fissa in basso.
"Il tuo amore?", faccio io.
"Lavoro...il tuo?"
Intanto camminiamo. Lei ha in mano un cartoccio di frutta fresca.
"Vuoi una pesca?"

E' di una bellezza che fa male, ed anche se non fosse bella ha i modi tutti suoi per darti dolore.
Abbronzata, minigonna firmata di swaroski luccicanti, camicetta scollata: muove i capelli come fosse arte.
Poi squarcia le banalità.
"Fai la doccia da me?"
Me la guardo furbetto specchiandomi nei suoi occhi truffaldini.
Che troie le donne, farnetico silente.

Intanto continuo a camminarle vicino, sempre più.
Guardo il crono e capisco che sono andato veloce. C'è ancora tempo.

Per tutto.
Stacco definitivamente le cuffie e ripongo l'ipod nella tasca interna.
Il cuore non smette di pompare musica rock.
Infila la chiave aprendo il portone fresco e profumato.
Piante grasse in grossi vasi lavorati.

L'ascensore è al piano. Apre le porte trattenendole per farmi entrare, spinge il quattro e la bacio.
Occhi che sanno.
Si divincola a fatica quando l'ascensore è già fermo.
Sto tradendo, sono incazzato, sarà solo un caffè senza zucchero.

Apre la porta a tripla mandata e riprendiamo famelici.

La sua lingua rapida, il cervello che frigge. Poi si ferma.
"La maglietta, please..."
Mi tolgo la Champion cotta dal sole e dal sudore.
Lei non distoglie lo sguardo dalla mia pancia scura.
Ed inizia così, baciandomi lì.
La schiena nuda sulla parete di spatolato beige. Guardo la stuccolina rifinita ed il lampadario in stile.
Facciamo l'amore a lungo senza amore.

Con passione travolgente che sotterra e rimanda i pensieri.
Che blocca la paura e filtra la luce.
La prendo da dietro e mi prendo la vita.

"Sai da quanto ti guardo?"

E' l'una passata quando sono a tavola con mamma e la pasta aglio e olio. Il peperoncino rosso sui vermicelli al dente.

Il racconto del mare interrotto dal telefono. I suoi occhi celesti chiedono di vederci, mi dice scusa per stamani, ero nervosa, ti amo da impazzire con le zeta che si fanno esse di dolcezza.

Ma non l'avevi già fatto? Ma non era negativo? Ma non era soltanto ritardo di ciclo irregolare? Ma non avevi detto che tutti i mille calcoli davano responsi di sollievo? Ma non era l'ultimo giorno di mestruazione?

Ricordo con precisione estrema il momento in cui le sono venuto dentro, il mondo scomparso, l'assoluta immobilità delle cose.
La stessa precisione estrema di come e quanto mi senta merda adesso, come e quanto il mio mondo sia ora sovraffollato da incubi paure pensieri sensi di colpa incredulità velocità dolore.
La lascio tornare indietro da dove era venuta e quando mi stravacco sul lettino arriva lei. "Ciao amore mio..."

Lunedì mattina appuntamento sul presto.

L'accompagno a fare l'ecografia.
Un nome nuovo che invade la conoscenza senza permesso.
E' tutto diverso quando qualcosa ti riguarda direttamente per la prima volta.
Il suo ginecologo di fiducia fissa rapidi appuntamenti privati con la carta di credito.
Aspetto di sotto con lo stomaco centrifugato.
Dura un attimo il tempo.
"E' già grande", dice spaventata come me, bella come il sole.
Che vuol dire?

Non chiedo.
"Domattina appuntamento al Grassi da un suo collega: abbiamo fatto i calcoli, dovremmo essere in tempo."
In tempo per cosa?
Per uccidere?
Ma l'alternativa?
Non c'è mai alternativa in questi casi?
Mi accosto all'angolo e vomito il vuoto.
L'aria rafferma.

Puzza di sporco, puzza d'errore, puzza di me.
"...non fare così, tutto andrà bene", dice piangendo, occhi rossi distrutti.
Tardi.
Ci prendiamo un tea freddo, io al limone, lei alla pesca.

Brulichìo mattiniero di camici, tazzine che sbattono, giornali che gridano notizie fresche.
Ho passato la notte su internet, conosco tutto quello che non dovrei.

Il collega del suo ginecologo è un'omaccione scontroso calvo, con baffetti inopportuni sale e pepe. Un camice sgualcito con un taschino macchiato d'inchiostro, manca solo la biro sull'orecchio. Pare un prosciuttaro.
Di nuovo ecografia. Di nuovo calcoli.
Punta una matita sul foglio bianco scarabocchiando.
Legno, banchi, scuola.
"Signorina, -fa serio- siamo fuori di due giorni e la legge è severa..."
Lei scoppia a piangere.

"Scusi, per piacere, menta sulla data, sono solo due giorni...non sono una disgraziata ma solo una ragazzina, la prego..."
Sono spaventato.
Niente da fare.
Torniamo di corsa dal ginecologo che ci dà ancora speranza.
Speranza di che non so, ad ogni modo ne esco sconfitto.
Di nuovo domattina, 48 ore senza chiudere occhio.
San Camillo deserto, bisogna mentire in anticipo.

La sala d'aspetto invece è piena. Bambine e bambini accompagnati da genitori, single in cerca di fuga, donne esperte e consapevoli.
Analisi del sangue ed elettrocardiogramma.
Poi sarà solo il suo racconto mentre guido sulla via del ritorno.
Lei ad un certo punto chiede perchè tanta furia.
La caposala le annuncia che si farà quella mattina stessa.
Scoppia in un pianto dirotto.

"Ha paura?", chiede il dottore.
Anestesia totale, stordimento totale, dolore totale.
Mentire, fingere, distruggere.
"Non è paura è che mi dispiace tanto..."

Quando esce esco dall'isolamento e l'abbraccio forte.
Lei piange.
"Non potevamo altrimenti..."
"Lo so, lo so..."

martedì 12 maggio 2009

Buon viaggio Maria


Io lo so

Lo so che prenderai lo stesso aereo.
La sveglia alle cinque meno venti,
il caffè,
il croissant fresco in aeroporto
il trolley blu.
Lo so che non dormirai stanotte
e l'alba non ti sorprenderà nemmeno stavolta.
Lo so che conterai i minuti, ripasserai le parole, avrai quaderni da raccontare.
Fa caldo anche qui lo sai?

Lo so che quel posto lato finestrino non sarà vuoto.
Che l'hostess ti servirà di nuovo caffè acquoso che poserai accanto all'ennesimo libro.
Conserverai la carta d'imbarco che ti segnerà la pagina.
Le nuvole di panna montata fotograferai di nascosto
facendole l'occhiolino.

Io lo so che domattina sarai là, un metro prima della riga gialla, prima della fila,
prim'ancora che apra il check in.

Lo so che le darai la mano porgendo la carta d'identità,
allargherai il sorriso, la precederai al duty free.

Non ti preoccupare, non cercare nulla per me, avrò tutto quello che voglio.
Le automobiline colorate per Alessio e Matteo, l'ouzo per papà, le sigarette per te e Marisa ti riempiranno
le buste colorate.

Poi sul display comparirà il volo ed allora di nuovo in fila, di nuovo prima, tu piccola e bella.
Tu veloce e sicura.
Gli occhi verdi diranno il primo Kalhmera all'equipaggio,
la signorina ti aiuterà a chiudere la cappelliera.

Lo so che fremerai d'attesa.

Lo so che mi riconoscerai al volo tra mille teste, che mi correrai incontro dimenticandola dietro di te.

Starò lì dove ti ho sempre aspettato, tra il cuore e la pazzia.
Buon viaggio Maria, buon viaggio.

sabato 9 maggio 2009

Max

Max era Max
più tranquillo che mai,
la sua lucidità…
Smettila, Max,
la tua facilità non semplifica,
Max.
Max non si spiega,
fammi scendere,
Max vedo un segreto avvicinarsi qui,
Max.

("Max" - P. Conte)

giovedì 16 aprile 2009

un dolore nuovo

La camera è ampia e la luce la inonda esattamente a metà. Come il cuore spezzato esattamente a metà. Segue le orme impercettibili sul parquet lucido fino alla doccia. Attenta a non ferirsi i piedi nudi con le briciole di vetro dei suoi occhi in lacrime. Lui non può vederla. S'appoggia alla porta, ferma a guardarlo mentre l'acqua accentua il ricordo. La doccia è bollente ed il vetro s'appanna velocemente. Lava via i pensieri tristi, si strofina le emozioni, rimuove la sofferenza: una faccia nuova con un sorriso nuovo. Ma il profumo rimane. Poi di nuovo uno seduto di fronte all'altra, lei al centro del letto, le gambe incrociate, il pigiama infantile. Lui all'angolo, l'asciugamano in vita, goccioline di acqua sopravvissute, perle sulla fronte. "Non dovresti portare mai gli occhiali." "Non avrei dovuto mai vederti." "Non cominciare...Dovevo conoscerti...", e si stende sul letto a faccia in giù. Arrabbiata. Lui guarda le travi di legno sul soffitto cercando un appiglio che non trova. Poi si stende su di lei schiacciandola col peso di troppi pensieri. Toccarla è dolore, sapere di averla e averla persa al contempo, è una lama infuocata che taglia il respiro. Infila le mani sotto al pigiama e si àncora ai seni che sempre lo desiderano. La tocca una volta di più nel profondo, in quell'anfratto solo loro tra cuore ed anima. Fanno l'amore di nuovo senza ombra di sesso, poi si ritrovano abbracciati, lui seduto sulla poltrona rossa, lei seduta su di lui e dentro di lui. Staccarsi è doloroso : un dolore nuovo e sottile, un dolore che a volte si chiama amore. Vestiti, s'abbracciano di nuovo, per l'ultima volta, se lo giurano. Poi lo segue andar via con lo sguardo che s'appanna, un tumulto di lacrime, una sensazione di vuoto, una vertigine insopprimibile. Il rombo del motore, il casco indossato. Tra qualche minuto percorrerà la stessa strada, il medesimo asfalto fino all'incrocio della loro storia: direzioni diverse, semafori alterni. Il gioco della vita. Non ha detto una parola, lui. L'ha guardata soltanto, desiderandola con occhi di brace. Ha mascherato dietro le lenti specchiate il magone, ha nascosto il crampo riparato nel giubbotto antivento. Senza pensieri, vuota e piena, felice e triste, ogni singola cosa ebbra anche del contrario, s'avvia alla macchina. E' passata un'ora, per un'ora non ha potuto fare a meno di piangere. Ha preso la sua Nikon ed ha fotografato ogni dettaglio della camera. Ora guida piano nel viale alberato. Si gira e saluta la villa con la testa. Uno, due, tre chilometri lontana dal sogno. Uno -due - tre chilometri più vicina alla realtà. In lontananza un lampo, un giro di luce azzurrognola uguale a se stesso. Una volante della municipale di traverso blocca la carreggiata. Quattro auto davanti a lei. Guarda lo specchietto retrovisore e si aggiusta il cuore. Non pensa. Non pensa. Non pensa. Alza il volume dello stereo. "Desire...desire... desire..." La vita è un rock duro. La vita è una merda. Non pensa. Non pensa. Non pensa. Come un automa, apre la portiera. Non aveva bisogno di pensare. Non ha bisogno di lacrime. A passo svelto supera le auto ferme. Una Due Tre Quattro Il poliziotto le si para davanti. Dalla sinistra convinzione che legge negli occhi di ghiaccio capisce che deva farla passare. Non avrebbe potuto altrimenti. Ancora una macchina, di traverso, proprio come la giornata, proprio come i raggi del sole che trafiggono sicuri la coltre passiva del bosco. Sul ciglio una carcassa di moto, giù per il basso fossato un casco giallo. Nella testa una canzone triste. " E lui, dov'è?" Una chiazza scura, due ali d'argento, un cinguettio lontano.

giovedì 2 aprile 2009

C'è Tempo



Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che, ... hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte

e un altro di giorno teso

come un lino a sventolare.

C'è un tempo negato e uno segreto

un tempo distante che è roba degli altri

un momento che era meglio partire

e quella volta che noi due era meglio parlarci.


C'è un tempo perfetto per fare silenzio

guardare il passaggio del sole d'estate

e saper raccontare ai nostri bambini
quando
è l'ora muta delle fate.

C'è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato

e c'era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende

perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo,
c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è propr
io tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato

dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me della mia vita
non essere gelosa di me
, non essere mai gelosa di me.

C'è un tempo d'aspetto, come dicevo,

qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato

e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata la sua fotografia.

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle

l'istante in cui scocca l'unica freccia

che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno
che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti

che sarà benedetto,
io credo
da molto lontano

è il tempo che è finalmente

o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te, nuovamente

mano alla mano

che buffi saremo

se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c'è un tempo per seminare

e uno più lungo per aspet
tare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare

Ivano Fossati

giovedì 26 marzo 2009

Dormi ancora

Sono passato a trovarti.
Era l'alba.
Dormivi ancora.

Eri tutto quello che avevo, sei tutto quello che non ho.

Ancora buio.
Un accenno di rosa, laggiù, oltre la chiesa.
Il mercato si anima sonnacchioso.
Due, tre, furgoni che scaricano pesce.
La strada è umida.
Un cane, una padrona che fuma.

Corro da quattordici minuti e quarantotto secondi quando m'accorgo del mare.

Il frastuono nasce alla mia sinistra e diventa musica suadente.
Un invito.
Scavalco appongiandomi con la mano e sono sulla sabbia molle.
Il respiro si fa subito corto.
La fatica sui polpacci.
Rallento.
La risacca spumosa, il sale nelle narici.

Dove sei?

Ti cerco, ma so che dormi ancora.

La massa indistinta e melodiosa ora è grigio in movimento.
L'orizzonte si colora lento.

venerdì 20 marzo 2009

Le parole

A volte
Si scrive amore
e si legge
oppressione
e
gelosia
e produce
rabbia
e
rancore...

A volte
Si scrive amore
e si legge
tristezza
e
solitudine
e
dolore...

venerdì 13 marzo 2009

Vero?


L'ascensore rantola, sale piano, ma dal tono al massimo arriva al quarto.
Una sola volta è arrivato fino al quinto ma avevo sentito chiaramente il clangore delle chiavi sull'inferriata della vicina che esce. Quella del cane che ora non cessa di abbaiare ai muri e ai rumori e alle speranze: che ritorni presto, che gli dia da mangiare.
Situazione identica.
Mamma è dovuta scendere per forza.
Un pò di spesa e la ricetta e le medicine. Io ho la febbre alta, forse sono orecchioni.
E' la prima volta che resto a casa da solo e ripasso muovendo le labbra le istruzioni:
torno prestissimo,
ti compro il nesquiq così rifai colazione,
cerca di dormire,
leggiamo insieme il giornale.

La mia stanza era l'ingresso che dà sul salone. Tre metri per due di spifferi sibilanti d'inverno, un caldo opprimente delle estati senza finestra.
Appoggia sulla tromba dell'ascensore e con le spalle al muro sento la vita della scala. La signora Paradisi che scende i quattro piani a piedi, claustrofobica, animando il corrimano di improperi verso la figlia spendacciona ed iperprofumata.
Il portone che si spalanca pesante e si richiude con forza sospinto dalla corrente; il gracchìo dei citofoni, ragazzi che distribuiscono pubblicità, postini che danno raccomandate.

Mamma ancora non torna.
Ho la situazione sotto mano.
Scendo dalla schiena e mi metto sul fianco con la faccia al cassetto.
Calcolo la strada: dottoressa giù in fondo al viale dopo il semaforo, dopo la fontanella; primo piano, scale, attesa e ricette e ritorno.
Ancora semaforo, fontanella e bar all'angolo. A sinistra per il mercatino in piazzetta. Verdura pane latte bistecche e giornale. Una, due persone al massimo davanti a lei. E le merendine al latte.

Ed il the.

Gli occhi mi si gonfiano.
Resisto.
Devo, mi sforzo.
Penso alla gara di ieri.
Per tutta la sera papà mi ha preso in giro mentre mamma raccontava.
"Al via s'è tuffato come lui solo sa fare. Ha nuotato a lungo sott'acqua come nessuno della sua età sa fare. Poi velocemente ha respirato ed in breve ha staccato tutti. Nuotava che sembrava volare. A tre o quattro metri dal traguardo s'è fermato mentre l'istruttore mi guardava incredulo: s'è messo cavalcioni sulla corda coi galleggianti rossi che dividono la corsia. Aspettando che arrivassero i suoi amichetti, lenti, inadeguati, scaltri."

Penso e ripeto a bassa voce Mamma scusa, non lo sapevo che dovevo vincere, Mamma scusa non sapevo che cosa significasse vincere.
E stavolta non mi sforzo, piango. Mamma, dove sei?

Ecco che si riavvia l'ascensore: primo piano, secondo, terzo. Dai che ci siamo stavolta. Quarto e stop. Sarà Ida, la vicina di Marisa, che torna dall'orto.

Ora sono disperato. Comincio a piangere pesantemente e mi addormento.
E subito sogno.
Sento vivamente la sua mano sulla fronte, poi le labbra a sentir la febbre.
Mi riavvia i capelli e sento il profumo della sua pelle.
E' un sogno talmente vivido che mi pare di poter aprire gli occhi e sentire la sua voce dire "c'era fila dal dottore...".
"Metto a posto la spesa e a scaldare il latte, più tardi viene la dottoressa"

Mi convinco a battere sonno e pianto.
Apro gli occhi.
Mamma è accanto a me. La tazza calda sul comodino e la spremuta che sprigiona primavera.
"Mamma è sempre vicino a te..." Sorride.

Vero?

domenica 8 febbraio 2009

Mamma

...aveva una sola amica.
Si chiama Marisa ed abita al quarto piano, sotto di lei.
Sono amiche da 36 anni, ovvero da quando il Comune ha assegnato le case popolari.
Per anni noi non abbiamo avuto il telefono a casa, non potevamo permetterci l'allaccio.
Per anni ho chiamato lei che poi chiamava mamma. Il suo numero lo ricordo ancora a memoria, ovviamente.
Marisa è sempre stata una bella donna, gli occhi da gatta sul viso gentile.
Due figli, Massimiliano, come me, ed Elisabetta. Vittorio suo marito.
Da bambino mi piaceva un sacco e le guardavo sempre le mani.
Finchè non fumava.
Poi distoglievo lo sguardo.
Condivideva con mamma il vizio.
Un caffè, la focaccina, due chiacchere, la spesa.
Il fumo, purtroppo.
Voglio bene a Marisa, non come si vuole bene ad una mamma, ma le voglio bene.

Stanotte Matteo ha avuto la tosse. Non c'era verso di fargliela passare: latte caldo, levotuss, acqua, dormire nel lettone fra noi.
Ad un certo punto, mi sono alzato e rifugiato sul divano.
Ho preso sonno dopo un pò, ero stanco, troppo per resistere sveglio fino al mattino, fino al lavoro.

D'un tratto mi sveglia un rumore, come se qualcuno fosse inciampato nella scatola metallica dove Matteo ripone i personaggi, così come li chiama lui.
Ci mette i pirati di solito.
E' un rumore che mi fa scattare.
Accendo la luce in un secondo, è proprio dietro di me e la mano la trova automatica.
Mi guardo attorno.
Dico "Ale, sei te?"
Non c'è nessuno. Solo tanti giocattoli sparsi. Due libri per terra. Sul tappeto.
Alessia e Matteo dormono beati sul lettone. Matteo non tossisce. Sento il respiro dal naso congestionato.
Sono le 2.10. E' notte piena.

Volevo bene a Marisa.
L'ho incontrata dieci giorni fa, più o meno.

Da stamattina alle cinque Marisa fuma di nuovo le sigarette con mamma.
Ora si fanno la focaccia e parlano fra loro prima di uscire a fare la spesa.

mercoledì 4 febbraio 2009

Cosa





...ti aspetti ch'io scriva?
Non ho più parole.
Prosciugato, annaspo in terra.
Ne ho in bocca il sapore.
Che m'impasta la lingua.
E più sputo e più riempie gli spazi.
Non ho più parole, non so pensare, non so vedere, non so dire.
Non lo senti?
...

domenica 11 gennaio 2009

Le passanti - Antoine Paul


Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non v'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano

A quelle che sono già prese
e che vivono delle ore deluse
con un uomo orami troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino

Ma se la vita smette di aiutarati
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occadioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.

musica - F. DeAndrè