...aveva una sola amica.
Si chiama Marisa ed abita al quarto piano, sotto di lei.
Sono amiche da 36 anni, ovvero da quando il Comune ha assegnato le case popolari.
Per anni noi non abbiamo avuto il telefono a casa, non potevamo permetterci l'allaccio.
Per anni ho chiamato lei che poi chiamava mamma. Il suo numero lo ricordo ancora a memoria, ovviamente.
Marisa è sempre stata una bella donna, gli occhi da gatta sul viso gentile.
Due figli, Massimiliano, come me, ed Elisabetta. Vittorio suo marito.
Da bambino mi piaceva un sacco e le guardavo sempre le mani.
Finchè non fumava.
Poi distoglievo lo sguardo.
Condivideva con mamma il vizio.
Un caffè, la focaccina, due chiacchere, la spesa.
Il fumo, purtroppo.
Voglio bene a Marisa, non come si vuole bene ad una mamma, ma le voglio bene.
Stanotte Matteo ha avuto la tosse. Non c'era verso di fargliela passare: latte caldo, levotuss, acqua, dormire nel lettone fra noi.
Ad un certo punto, mi sono alzato e rifugiato sul divano.
Ho preso sonno dopo un pò, ero stanco, troppo per resistere sveglio fino al mattino, fino al lavoro.
D'un tratto mi sveglia un rumore, come se qualcuno fosse inciampato nella scatola metallica dove Matteo ripone i personaggi, così come li chiama lui.
Ci mette i pirati di solito.
E' un rumore che mi fa scattare.
Accendo la luce in un secondo, è proprio dietro di me e la mano la trova automatica.
Mi guardo attorno.
Dico "Ale, sei te?"
Non c'è nessuno. Solo tanti giocattoli sparsi. Due libri per terra. Sul tappeto.
Alessia e Matteo dormono beati sul lettone. Matteo non tossisce. Sento il respiro dal naso congestionato.
Sono le 2.10. E' notte piena.
Volevo bene a Marisa.
L'ho incontrata dieci giorni fa, più o meno.
Da stamattina alle cinque Marisa fuma di nuovo le sigarette con mamma.
Ora si fanno la focaccia e parlano fra loro prima di uscire a fare la spesa.
Si chiama Marisa ed abita al quarto piano, sotto di lei.
Sono amiche da 36 anni, ovvero da quando il Comune ha assegnato le case popolari.
Per anni noi non abbiamo avuto il telefono a casa, non potevamo permetterci l'allaccio.
Per anni ho chiamato lei che poi chiamava mamma. Il suo numero lo ricordo ancora a memoria, ovviamente.
Marisa è sempre stata una bella donna, gli occhi da gatta sul viso gentile.
Due figli, Massimiliano, come me, ed Elisabetta. Vittorio suo marito.
Da bambino mi piaceva un sacco e le guardavo sempre le mani.
Finchè non fumava.
Poi distoglievo lo sguardo.
Condivideva con mamma il vizio.
Un caffè, la focaccina, due chiacchere, la spesa.
Il fumo, purtroppo.
Voglio bene a Marisa, non come si vuole bene ad una mamma, ma le voglio bene.
Stanotte Matteo ha avuto la tosse. Non c'era verso di fargliela passare: latte caldo, levotuss, acqua, dormire nel lettone fra noi.
Ad un certo punto, mi sono alzato e rifugiato sul divano.
Ho preso sonno dopo un pò, ero stanco, troppo per resistere sveglio fino al mattino, fino al lavoro.
D'un tratto mi sveglia un rumore, come se qualcuno fosse inciampato nella scatola metallica dove Matteo ripone i personaggi, così come li chiama lui.
Ci mette i pirati di solito.
E' un rumore che mi fa scattare.
Accendo la luce in un secondo, è proprio dietro di me e la mano la trova automatica.
Mi guardo attorno.
Dico "Ale, sei te?"
Non c'è nessuno. Solo tanti giocattoli sparsi. Due libri per terra. Sul tappeto.
Alessia e Matteo dormono beati sul lettone. Matteo non tossisce. Sento il respiro dal naso congestionato.
Sono le 2.10. E' notte piena.
Volevo bene a Marisa.
L'ho incontrata dieci giorni fa, più o meno.
Da stamattina alle cinque Marisa fuma di nuovo le sigarette con mamma.
Ora si fanno la focaccia e parlano fra loro prima di uscire a fare la spesa.
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