martedì 11 maggio 2010

Risotto

Chiudendo rapidamente la conversazione hai detto ci sentiamo con più calma.
Ho pensato a quando sarebbe stato, tra un millennio o due. Ho pensato alle sporadiche letterine, alle parche parole.
Poi, dal vento e dalle nuvole basse, dal grigio e dal nero, sono comparsi gli occhi.
Non disturbi, affatto.
Cerchiati di rosso, come chi deve piangere ma non può.
Come chi è solo ma non può ammetterlo.

Suona il telefono.
Mancano dieci minuti alle nove.
Ho cenato senza gusto. La borsa è sul letto, cinquanta mila lire nel portafogli.
E' per te, mi fa mia sorella.
Avvicino la cornetta all'orecchio paventando tre o quattro ipotesi.
Sei tu.
Imposto una voce arrabbiata.
Dolcemente invece mi dici che hai saputo che domani parto.
Per la verità è stasera. La tradotta di mezzanotte.
Rimaniamo sospesi in silenzio. Una promessa di chiarimento, un arrivederci a fra un mese.
Destinazione permettendo.

Ci metto del tempo prima di poterlo fare: una telefonata, una chiave, un problema, una battuta col pilota, un'altra telefonata.
Finalmente giro il bancone e ti abbraccio.
Dopo venti anni o venti anni dopo.
Non c'è più madame rochas ed il mare è solo una massa indistinta dietro cubi di bianco cemento.
Ho paura a stringerti troppo in balia dei flutti così come mi appari.
Allora?
Sospiri.
Dobbiamo tranciare questa difficoltà iniziale di comunicazione.
Come se servisse un altro abbraccio. Come se non servisse parlare.
Ci pensi tu a rompere l'equilibrio degli sguardi sopra il silenzio.
Ti lanci in spiegazioni tecniche percorrendo l'iter della scoperta.
Ci deve essere un motivo dici.
Che fai, ti ho ammutolito?

Entro in macchina, seduto dietro, nella ipsilon dieci rossa di Carmine.
Accanto a lui c'è Stefano.
Dal finestrino abbassato dieci centimetri aria di neve.
Nella vena della tempia pulsa la speranza.
Quando torni ne parliamo. Un mese vola via.
Il binario, i saluti, gli zaini, le lacrime, una canzone conosciuta.

Non riesco a tirare fuori parole di significato.
Ci sono migliaia di fosse di non conoscenza ad ogni passo.
Le difese immunitarie, il cuore che si perde il cervello assai più veloce, le colpe che ti dai, la delusione che disegni con tutte le parole che dici o sussurri soltanto.
Ti guardo le mani che non riconosco, i piedi che non ricordo.
Dentro l'incapacità di darti ragione.

Seduto, la schiena dritta, la borsa sulle ginocchia, realizzo: il tempo c'era, dovevo passare.
Il tempo c'era, dovevo abbracciarti, una volta per tutte.

-Adesso vado via che ho fame.
-Che ti prepari?
-Risotto, io adoro il risotto: risotto parmigiano e stracchino.
Però prima ti abbraccio che ne ho voglia.

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