Sono passato a trovarti.
Era l'alba.
Dormivi ancora.
Eri tutto quello che avevo, sei tutto quello che non ho.
Ancora buio.
Un accenno di rosa, laggiù, oltre la chiesa.
Il mercato si anima sonnacchioso.
Due, tre, furgoni che scaricano pesce.
La strada è umida.
Un cane, una padrona che fuma.
Corro da quattordici minuti e quarantotto secondi quando m'accorgo del mare.
Il frastuono nasce alla mia sinistra e diventa musica suadente.
Un invito.
Scavalco appongiandomi con la mano e sono sulla sabbia molle.
Il respiro si fa subito corto.
La fatica sui polpacci.
Rallento.
La risacca spumosa, il sale nelle narici.
Dove sei?
Ti cerco, ma so che dormi ancora.
La massa indistinta e melodiosa ora è grigio in movimento.
L'orizzonte si colora lento.
...dev'esserci un'isola più a sud, un altro mare che nuota in altro blu...
giovedì 26 marzo 2009
venerdì 20 marzo 2009
Le parole
A volte
Si scrive amore
e si legge
oppressione
e
gelosia
e produce
rabbia
e
rancore...
A volte
Si scrive amore
e si legge
tristezza
e
solitudine
e
dolore...
venerdì 13 marzo 2009
Vero?
L'ascensore rantola, sale piano, ma dal tono al massimo arriva al quarto.
Una sola volta è arrivato fino al quinto ma avevo sentito chiaramente il clangore delle chiavi sull'inferriata della vicina che esce. Quella del cane che ora non cessa di abbaiare ai muri e ai rumori e alle speranze: che ritorni presto, che gli dia da mangiare.
Situazione identica.
Mamma è dovuta scendere per forza.
Un pò di spesa e la ricetta e le medicine. Io ho la febbre alta, forse sono orecchioni.
E' la prima volta che resto a casa da solo e ripasso muovendo le labbra le istruzioni:
torno prestissimo,
ti compro il nesquiq così rifai colazione,
cerca di dormire,
leggiamo insieme il giornale.
La mia stanza era l'ingresso che dà sul salone. Tre metri per due di spifferi sibilanti d'inverno, un caldo opprimente delle estati senza finestra.
Appoggia sulla tromba dell'ascensore e con le spalle al muro sento la vita della scala. La signora Paradisi che scende i quattro piani a piedi, claustrofobica, animando il corrimano di improperi verso la figlia spendacciona ed iperprofumata.
Il portone che si spalanca pesante e si richiude con forza sospinto dalla corrente; il gracchìo dei citofoni, ragazzi che distribuiscono pubblicità, postini che danno raccomandate.
Mamma ancora non torna.
Ho la situazione sotto mano.
Scendo dalla schiena e mi metto sul fianco con la faccia al cassetto.
Calcolo la strada: dottoressa giù in fondo al viale dopo il semaforo, dopo la fontanella; primo piano, scale, attesa e ricette e ritorno.
Ancora semaforo, fontanella e bar all'angolo. A sinistra per il mercatino in piazzetta. Verdura pane latte bistecche e giornale. Una, due persone al massimo davanti a lei. E le merendine al latte.
Ed il the.
Gli occhi mi si gonfiano.
Resisto.
Devo, mi sforzo.
Penso alla gara di ieri.
Per tutta la sera papà mi ha preso in giro mentre mamma raccontava.
"Al via s'è tuffato come lui solo sa fare. Ha nuotato a lungo sott'acqua come nessuno della sua età sa fare. Poi velocemente ha respirato ed in breve ha staccato tutti. Nuotava che sembrava volare. A tre o quattro metri dal traguardo s'è fermato mentre l'istruttore mi guardava incredulo: s'è messo cavalcioni sulla corda coi galleggianti rossi che dividono la corsia. Aspettando che arrivassero i suoi amichetti, lenti, inadeguati, scaltri."
Penso e ripeto a bassa voce Mamma scusa, non lo sapevo che dovevo vincere, Mamma scusa non sapevo che cosa significasse vincere.
E stavolta non mi sforzo, piango. Mamma, dove sei?
Ecco che si riavvia l'ascensore: primo piano, secondo, terzo. Dai che ci siamo stavolta. Quarto e stop. Sarà Ida, la vicina di Marisa, che torna dall'orto.
Ora sono disperato. Comincio a piangere pesantemente e mi addormento.
E subito sogno.
Sento vivamente la sua mano sulla fronte, poi le labbra a sentir la febbre.
Mi riavvia i capelli e sento il profumo della sua pelle.
E' un sogno talmente vivido che mi pare di poter aprire gli occhi e sentire la sua voce dire "c'era fila dal dottore...".
"Metto a posto la spesa e a scaldare il latte, più tardi viene la dottoressa"
Mi convinco a battere sonno e pianto.
Apro gli occhi.
Mamma è accanto a me. La tazza calda sul comodino e la spremuta che sprigiona primavera.
"Mamma è sempre vicino a te..." Sorride.
Vero?
Una sola volta è arrivato fino al quinto ma avevo sentito chiaramente il clangore delle chiavi sull'inferriata della vicina che esce. Quella del cane che ora non cessa di abbaiare ai muri e ai rumori e alle speranze: che ritorni presto, che gli dia da mangiare.
Situazione identica.
Mamma è dovuta scendere per forza.
Un pò di spesa e la ricetta e le medicine. Io ho la febbre alta, forse sono orecchioni.
E' la prima volta che resto a casa da solo e ripasso muovendo le labbra le istruzioni:
torno prestissimo,
ti compro il nesquiq così rifai colazione,
cerca di dormire,
leggiamo insieme il giornale.
La mia stanza era l'ingresso che dà sul salone. Tre metri per due di spifferi sibilanti d'inverno, un caldo opprimente delle estati senza finestra.
Appoggia sulla tromba dell'ascensore e con le spalle al muro sento la vita della scala. La signora Paradisi che scende i quattro piani a piedi, claustrofobica, animando il corrimano di improperi verso la figlia spendacciona ed iperprofumata.
Il portone che si spalanca pesante e si richiude con forza sospinto dalla corrente; il gracchìo dei citofoni, ragazzi che distribuiscono pubblicità, postini che danno raccomandate.
Mamma ancora non torna.
Ho la situazione sotto mano.
Scendo dalla schiena e mi metto sul fianco con la faccia al cassetto.
Calcolo la strada: dottoressa giù in fondo al viale dopo il semaforo, dopo la fontanella; primo piano, scale, attesa e ricette e ritorno.
Ancora semaforo, fontanella e bar all'angolo. A sinistra per il mercatino in piazzetta. Verdura pane latte bistecche e giornale. Una, due persone al massimo davanti a lei. E le merendine al latte.
Ed il the.
Gli occhi mi si gonfiano.
Resisto.
Devo, mi sforzo.
Penso alla gara di ieri.
Per tutta la sera papà mi ha preso in giro mentre mamma raccontava.
"Al via s'è tuffato come lui solo sa fare. Ha nuotato a lungo sott'acqua come nessuno della sua età sa fare. Poi velocemente ha respirato ed in breve ha staccato tutti. Nuotava che sembrava volare. A tre o quattro metri dal traguardo s'è fermato mentre l'istruttore mi guardava incredulo: s'è messo cavalcioni sulla corda coi galleggianti rossi che dividono la corsia. Aspettando che arrivassero i suoi amichetti, lenti, inadeguati, scaltri."
Penso e ripeto a bassa voce Mamma scusa, non lo sapevo che dovevo vincere, Mamma scusa non sapevo che cosa significasse vincere.
E stavolta non mi sforzo, piango. Mamma, dove sei?
Ecco che si riavvia l'ascensore: primo piano, secondo, terzo. Dai che ci siamo stavolta. Quarto e stop. Sarà Ida, la vicina di Marisa, che torna dall'orto.
Ora sono disperato. Comincio a piangere pesantemente e mi addormento.
E subito sogno.
Sento vivamente la sua mano sulla fronte, poi le labbra a sentir la febbre.
Mi riavvia i capelli e sento il profumo della sua pelle.
E' un sogno talmente vivido che mi pare di poter aprire gli occhi e sentire la sua voce dire "c'era fila dal dottore...".
"Metto a posto la spesa e a scaldare il latte, più tardi viene la dottoressa"
Mi convinco a battere sonno e pianto.
Apro gli occhi.
Mamma è accanto a me. La tazza calda sul comodino e la spremuta che sprigiona primavera.
"Mamma è sempre vicino a te..." Sorride.
Vero?
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