domenica 19 luglio 2009

un giorno speciale




"Stanco di aspettare chi non sarebbe mai arrivato,
fui sfiorato da un piccolo bacio.
Inaspettato e dolce, non mi baciò le labbra:
colpì il mio cuore.
Leggero e salato, non incontrò il mio corpo:
mi prese l'anima.
In un solo secondo e per un solo secondo fu mia.
Ma quel sorriso,
quel conoscere solo a me riservato, mi apparterranno ancora:
solo e sempre a me."

(anno 2007)

sabato 4 luglio 2009

lei, lui

...sono pochi per promettersi il futuro



sms di prima mattina


Sono le 6.40

Guardo il citizen sul comodino:
il display si fa verde e penso al traffico che è lento nell'ora di punta...


La casa respira l'aria fresca del mattino appena nato.
Alzo la serranda cercando di non fare rumore, la porta accostata della cucina regala uno scaleno di luce.
Senza che me ne accorga mi posa una mano sulla spalla.
"Buongiorno amore mio..."
Fiori e piante rigogliose nel rettangolo lungo dietro il vetro.


Non ho nessuna curiosità, faccio soltanto male a non spegnerlo.
"Buongiorno mamma. Parole crociate?"

Dobbiamo parlare.

Penso che palle mentre deglutisco. La spremuta fresca delle ultime arance buone.
Non rispondo.

Ci si imbatte sovente nel proprio destino proprio sulla strada intrapresa per evitarlo.
Non è un cartone.

"Che fai, non rispondi?"
Mi desto dal torpore girandomi sul lettino.

Annuso la sua pelle abbronzata dalla pizbuin senza schermo.

Cominciamo una passeggiata ad ostacoli sul bagnasciuga infestato da lumache di mare, bagnanti del sabato pomeriggio, bimbi meraviglie d'innocenza,algacce informi.
In testa c'ho una canzone triste...
Presagio.

"Ho rifatto il test, è positivo..."
Invece di sospendermi, la frase a metà mi stecchisce.
Penso prima di parlare mentre tutto scompare.
Come quella volta.


...in una meravigliosa giornata di primavera ho appena finito di discutere.
Odio farlo al telefono, vorrei toccarla, abbracciarla, baciarla.
Lei butta giù prima che possa replicare.
Un giorno metterò la testa a posto, adesso non so.
Maggio odoroso e tiepido dice che correre mi farà bene.
Di studiare nemmeno l'idea.
"Torno per pranzo, ciao Mà..."

"Corri piano..." e sorride con gli occhi smeraldini.
Infilo le cuffie e ci chiudo il mondo fuori.
Le scarpe mi guidano sul lungomare assolato.
Corro tra sabbia e cemento, piccole palme fuori luogo cercano di sopravvivere.
Il respiro del mare mi accompagna incerto: se giro qui, in trenta secondi sono da lei.
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi...
Nemmeno il nanosecondo di riflessione e scampanello al citofono.
Lei si affaccia alla grata scrostata di ruggine arancio.

Lo sguardo imbronciato, gli occhi chiari che strizza per ripararsi dal sole.
"Che vuoi?"
"Te, come sempre..."
"Io no..." dice incazzosa montante.
Che palle, penso io, ci vuole così tanto a volermi bene?
La maglietta sudata mi si incolla al petto, una chiazza scura sorge sullo sterno.
Tento di abbracciarla, il profumo dei suoi capelli mi respinge
.
"Sei tutto sudato, vattene..."
Cazzo, l'orgoglio delle donne. Sfila via lasciandomi a guardare la tenda che torna al suo posto.
Non mi rimane che correre. Arrivo al porto sprintando, ormai fa troppo caldo e dovrei bere. Giro attorno al molo ed imbocco la via del ritorno.
M'impongo di non pensare e lasciare tempo al tempo. E' solo orgoglio.
Intanto Mark Knopler batte un lento disperato che sarebbe meglio evitare.
Non sono stanco.

Non sono stanco di lei.
Vorrei solo vivere i miei fantastici venti anni. Senza catene.

La incontro all'altezza del mercato proprio mentre decelero. Due isolati e sono a casa. La maglietta adesso ha un nuovo colore.
"Ciao bello..."
"Ciao, non t'avevo vista", fingo.

Il sudore gronda sulle tempie. Alzo la maglietta scoprendomi la pancia abbronzata per detergermi la fronte.
"Sempre di corsa? "
Sorrido.
Lei mi fissa in basso.
"Il tuo amore?", faccio io.
"Lavoro...il tuo?"
Intanto camminiamo. Lei ha in mano un cartoccio di frutta fresca.
"Vuoi una pesca?"

E' di una bellezza che fa male, ed anche se non fosse bella ha i modi tutti suoi per darti dolore.
Abbronzata, minigonna firmata di swaroski luccicanti, camicetta scollata: muove i capelli come fosse arte.
Poi squarcia le banalità.
"Fai la doccia da me?"
Me la guardo furbetto specchiandomi nei suoi occhi truffaldini.
Che troie le donne, farnetico silente.

Intanto continuo a camminarle vicino, sempre più.
Guardo il crono e capisco che sono andato veloce. C'è ancora tempo.

Per tutto.
Stacco definitivamente le cuffie e ripongo l'ipod nella tasca interna.
Il cuore non smette di pompare musica rock.
Infila la chiave aprendo il portone fresco e profumato.
Piante grasse in grossi vasi lavorati.

L'ascensore è al piano. Apre le porte trattenendole per farmi entrare, spinge il quattro e la bacio.
Occhi che sanno.
Si divincola a fatica quando l'ascensore è già fermo.
Sto tradendo, sono incazzato, sarà solo un caffè senza zucchero.

Apre la porta a tripla mandata e riprendiamo famelici.

La sua lingua rapida, il cervello che frigge. Poi si ferma.
"La maglietta, please..."
Mi tolgo la Champion cotta dal sole e dal sudore.
Lei non distoglie lo sguardo dalla mia pancia scura.
Ed inizia così, baciandomi lì.
La schiena nuda sulla parete di spatolato beige. Guardo la stuccolina rifinita ed il lampadario in stile.
Facciamo l'amore a lungo senza amore.

Con passione travolgente che sotterra e rimanda i pensieri.
Che blocca la paura e filtra la luce.
La prendo da dietro e mi prendo la vita.

"Sai da quanto ti guardo?"

E' l'una passata quando sono a tavola con mamma e la pasta aglio e olio. Il peperoncino rosso sui vermicelli al dente.

Il racconto del mare interrotto dal telefono. I suoi occhi celesti chiedono di vederci, mi dice scusa per stamani, ero nervosa, ti amo da impazzire con le zeta che si fanno esse di dolcezza.

Ma non l'avevi già fatto? Ma non era negativo? Ma non era soltanto ritardo di ciclo irregolare? Ma non avevi detto che tutti i mille calcoli davano responsi di sollievo? Ma non era l'ultimo giorno di mestruazione?

Ricordo con precisione estrema il momento in cui le sono venuto dentro, il mondo scomparso, l'assoluta immobilità delle cose.
La stessa precisione estrema di come e quanto mi senta merda adesso, come e quanto il mio mondo sia ora sovraffollato da incubi paure pensieri sensi di colpa incredulità velocità dolore.
La lascio tornare indietro da dove era venuta e quando mi stravacco sul lettino arriva lei. "Ciao amore mio..."

Lunedì mattina appuntamento sul presto.

L'accompagno a fare l'ecografia.
Un nome nuovo che invade la conoscenza senza permesso.
E' tutto diverso quando qualcosa ti riguarda direttamente per la prima volta.
Il suo ginecologo di fiducia fissa rapidi appuntamenti privati con la carta di credito.
Aspetto di sotto con lo stomaco centrifugato.
Dura un attimo il tempo.
"E' già grande", dice spaventata come me, bella come il sole.
Che vuol dire?

Non chiedo.
"Domattina appuntamento al Grassi da un suo collega: abbiamo fatto i calcoli, dovremmo essere in tempo."
In tempo per cosa?
Per uccidere?
Ma l'alternativa?
Non c'è mai alternativa in questi casi?
Mi accosto all'angolo e vomito il vuoto.
L'aria rafferma.

Puzza di sporco, puzza d'errore, puzza di me.
"...non fare così, tutto andrà bene", dice piangendo, occhi rossi distrutti.
Tardi.
Ci prendiamo un tea freddo, io al limone, lei alla pesca.

Brulichìo mattiniero di camici, tazzine che sbattono, giornali che gridano notizie fresche.
Ho passato la notte su internet, conosco tutto quello che non dovrei.

Il collega del suo ginecologo è un'omaccione scontroso calvo, con baffetti inopportuni sale e pepe. Un camice sgualcito con un taschino macchiato d'inchiostro, manca solo la biro sull'orecchio. Pare un prosciuttaro.
Di nuovo ecografia. Di nuovo calcoli.
Punta una matita sul foglio bianco scarabocchiando.
Legno, banchi, scuola.
"Signorina, -fa serio- siamo fuori di due giorni e la legge è severa..."
Lei scoppia a piangere.

"Scusi, per piacere, menta sulla data, sono solo due giorni...non sono una disgraziata ma solo una ragazzina, la prego..."
Sono spaventato.
Niente da fare.
Torniamo di corsa dal ginecologo che ci dà ancora speranza.
Speranza di che non so, ad ogni modo ne esco sconfitto.
Di nuovo domattina, 48 ore senza chiudere occhio.
San Camillo deserto, bisogna mentire in anticipo.

La sala d'aspetto invece è piena. Bambine e bambini accompagnati da genitori, single in cerca di fuga, donne esperte e consapevoli.
Analisi del sangue ed elettrocardiogramma.
Poi sarà solo il suo racconto mentre guido sulla via del ritorno.
Lei ad un certo punto chiede perchè tanta furia.
La caposala le annuncia che si farà quella mattina stessa.
Scoppia in un pianto dirotto.

"Ha paura?", chiede il dottore.
Anestesia totale, stordimento totale, dolore totale.
Mentire, fingere, distruggere.
"Non è paura è che mi dispiace tanto..."

Quando esce esco dall'isolamento e l'abbraccio forte.
Lei piange.
"Non potevamo altrimenti..."
"Lo so, lo so..."